LA PIEVE DI SANTA MARIA NASCENTE


30/07/2012

Nella Fonzaso del XVII secolo Podestà di Feltre Francesco da Mosto, anno 1611:

“Il territorio (del Feltrino) …ha cento e vinti ville, e tra queste ve ne sono di molto buone e belle, e fra le altre quella di Fonzaso, villa di molto negotio, e piena di edifitij, e sieghe.. e transito di legnami che si conducono da paesi alieni in quel luoco per il fiume del Cismon, e di là mettendo esso fiume capo in la Brenta in questa città (di Venezia). Questa villa di Fonzaso essendosi abbruggiata quasi meza il marzo precedente…con morte de molti,hora per le commodità, non solo de quei medesimi contadini, ma de molti mercanti richi di desene, e forsi centenara de migliara de ducati, che habitano per ocasione del medesimo negotio, è affattorestaurata, e ridotta a miglior stato e condittione di prima, così rispetto alle habitationi fatte più commode e moderne, come nell’ampiezza e drittura delle strade, che la rendono molto vaga e riguardevole…”1

Fonzaso, come importanza commerciale, era di prima grandezza. L’espressione “porto di Fonzaso” veniva usata correntemente alla fine del Cinquecento “2: porta del Primiero e passaggio obbligato dalla valle del Vanoi per secoli fu snodo strategico nella via del legname. Sorta lungo il fiume Cismon,affluente del Brenta, in corrispondenza di una sua rottura di pendenza, costituiva l’ultima valle pianeggiante prima dei territori Arciducali. Giusto per avere un’idea dell’importanza commerciale della città, basti sapere che nei primi anni del Seicento passavano per Fonzaso 40.000 taglie di legname l’anno, per un valore di mercato, una volta giunte a Venezia, che si stima sull’ordine di 2.500.000 ducati, quasi quanto le entrate del bilancio statale della Repubblica Veneta nel 1609 “3.

La presenza di mercanti “foresti” trasferitisi a Fonzaso crebbe tra la seconda metà del Cinquecento e gli inizi del Seicento, probabilmente in concomitanza con le politiche forestali di maggior apertura attuate dall’arciduca Ferdinando. Importanti famiglie di mercanti di legname, quali i Petricelli da Bassano o i Maccarini veneziani si stabilirono a Fonzaso spesso sostituendosi a famiglie nobili che qui possedevano terreni e segherie quali gli Onigo trevisani, i Sagredo ed i Bianchini veneziani ed i Someda primierotti. Con i mercanti locali instaurarono invece una forte alleanza commerciale, sancita anche da legami familiari attraverso matrimoni e padrinaggi. Tra i mercanti locali, oltre alla potente famiglia Angeli, divisa nei due rami “di Bortolo” e “di Iseppo”, anche i Vieceli giocarono un ruolo importante figurando come agenti e procuratori per i Petricelli, i Maccarini, gli Angeli, ma soprattutto per inobili Someda di Chiaromonte.

“1 Relazioni dei Rettori Veneti in terraferma, Giuffrè 1974

“2 Corazzol, 1997 pg 204

“3 Boschi e mercanti, Katia Occhi, pg.58-59

La Pieve di Santa Maria Nascente nella Fonzaso del XVII secolo.

I mercanti ed il loro tempio.

17 giugno 1611. Un’iscrizione all’interno della Pieve ne ricorda la data di riconsacrazione, a soli due anni dall’incendio che distrusse un terzo del paese, compreso la parrocchiale. Si trattò di una vera e propria ricostruzione della chiesa che coinvolse la “popolazione con gli esponenti più economicamente significativi, i mercanti di legname, e per un terzo della spesa lo stesso parroco” “4. Riedificata orientata, conserva sulla sua lunga fiancata a mezzogiorno, rivolta verso l’antica piazza del paese, una gigantesca rappresentazione di San Cristoforo. L’affresco, di autore ed epoca ignota, potrebbe essere della stessa mano delle mediocri pitture seicentesche che decorano le lunette della volta nell’adiacente “scoletta”, erroneamente attribuite ora a Pomponio Amalteo, ora a Lorenzo Luzzo5. Seppur non di eccelsa qualità artistica, rimane comunque un’immagine potente, legata alla devozione popolare per le sue virtù apotropaiche6, ma ancor di più “memento” di chi quella chiesa contribuì a ricostruire. San Cristoforo è, infatti, non solo protettore dei pellegrini e dei viandanti, ma, soprattutto, dei mercanti. Corpo e gambe forti, sguardo deciso di chi è abituato a viaggiare tra colli, monti e fiumi, villaggi, pievi e castelli: così il Cristoforo di Fonzaso accompagna i devoti all’ingresso laterale della chiesa, tenendo ben saldo nella mano il tronco di una palma e reggendo sulle spalle il Bambino con il suo enorme carico. Fortezza e fede. L’interno della chiesa, ampio, sobrio e luminoso, si caratterizza per l’omogeneità stilistica di architettura, opere, stucchi, arredi e sculture risalenti alla prima metà del Seicento. A navata unica, con otto ampie cappelle laterali, cinque delle quali legate al mondo dei mercanti di legname, offriva un respiro non solo locale, ma aperto verso Venezia, ai nuovi gusti, alle nuove tendenze. Nel corso del secolo passato, vari interventi hanno spezzato alcune importanti connessioni che potrebbero ora più chiaramente parlarci della Fonzaso seicentesca: Tuttavia, incrociando le descrizioni delle visite pastorali e gli atti degli archivi notarili con ciò che ci raccontano i vari dipinti sparsi nella chiesa, molte relazioni possono essere ancora ricomposte, recuperando così le immagini che i mercanti di legname ci hanno voluto lasciare. Ci è possibile quindi risalire alle antiche

“4 AVP, Visitationes XVII (1613).

“5 Il nome del Luzzo forse è evocato da “tradizioni orali” che legavano il nome del noto pittore feltrino alla Pieve di Fonzaso. La coincidenza si è rivelata fondata grazie a dei recenti riscontri riportatimi gentilmente dal professor Claut, basati sull’esistenza di atti relativi alla richiesta di ritiro della pala dell’arcipretale dalla bottega del Luzzo a Venezia. La visita pastorale del 1530 parla di una bella pittura nella chiesa riattata e della particolare cupola a forma di testuggine. La pala del Luzzo venne sostituita agli inizi del Novecento con una tela firmata da Tommaso Pasquotti da Schio, mediocre pittore contemporaneo e quindi collocata probabilmente sull’altare della cappella privata di quella che un tempo fu Villa Angeli, a poche decine di metri dalla parrocchiale, dove già esisteva la bella tela, tutt’ora conservata, di San Valeriano e Santa Cecilia del Ridolfi. Era infatti testimoniata nell’oratorio la presenza di una pala di “una natività”, tuttavia già nel 1918 il dipinto scomparve, assieme a quelli delle ricche collezioni fonzasine di Villa Riera e Villa Panz. (Notizie fornitemi gentilmente dal prof. Claut Sergio) ”

“6 Le raffigurazioni di San Cristoforo, frequentissime nelle chiese dell’arco alpino, incrociavano spesso la strada dei pellegrini e dei viandanti. Si riteneva che chi guardasse con fede San Cristoforo fosse preservato dalla morte improvvisa.(Vigna A., 2004)

Intitolazioni degli altari che, salvo qualche eccezione, dal 1580 alla fine del Settecento furono le seguenti:

Altare Maggiore

Natività BVM

Santi Vittore e Corona (ora del Carmine)

San Sebastiano e San Rocco (ora di San Giuseppe)

Santo Crocifisso

Annunciazione con Sant’Apollonia, Santa Lucia e Agata (ora del Sacro Cuore)

Sant’Andrea (ora dell’Immacolata)

SS.Rosario(ora di Maria Ausiliatrice)

Sant’Antonio Abate Pietà(ora Battistero)

L’altare di Sant’Andrea di Andrea Petricelli

Lorenzo Petricelli, mercante di legname, si trasferì da Bassano a Fonzaso tra il 1577 ed il 1581. Morto Lorenzo nel 1617, il figlio Andrea prese le redini dell’attività di famiglia e la portò in breve tempo alla sua massima espansione economica, sociale e politica. Assieme ai suoi due fratelli Giuseppe, canonico, e Antonio, dottore di leggee giudice del maleficio a Verona, Brescia, Vicenza e Padova, costituì una “fraterna”ovvero una società famigliare permanente fondata sull’unità domestica e la comunione dei beni. Nonostante il palazzo a Feltre, la villa di campagna costruita nel 1630 in località Montebello a Cesio, la devozione all’altare del Santo Rosario nella chiesa della Madonna di San Lorenzo di Feltre, Andrea rimase legato sempre a Fonzaso, dove, alla sua precedente dimora, aggiunse anche le case acquistate nel 1640 dai Someda, ormai ritiratisi nella loro villa di Transacqua in Primiero. La “Piazza Nova” di Fonzaso era così divenuta sua proprietà e la possibilità di transito in essa “è solo fatto di cortesia da parte di Andrea Petricelli ”7. Contribuì alla riedificazione della chiesa dopo l’incendio del 1609 ottenendo così diritto ad un altare suo di casa al posto di quello del nobile defunto Andrea dal Corno. Fece testamento e morì nel 1649. Ora quella che un tempo fu la sua cappella porta un’ intitolazione all’ “Immacolata” di cui campeggia un’immagine con l’iscrizione “ex voto anno 1752” a ricordare un voto di digiuno da compiere per cinquant’anni per il termine di una pestilenza. Tuttavia, ripercorrendo le visite pastorali, dal 1666 in avanti, a quello dell’apostolo Andrea veniva affiancata l’intitolazione a San Carlo Borromeo. Nella cappella ospitante l’attuale battistero, seminascosto da una cancellata e dal fonte battesimale ligneo, possiamo scorgere un interessante trittico nella cui bella pala centrale riporta l’inconfondibile raffigurazione appunto di San Carlo Borromeo. Ad una lettura più attenta, un altro personaggio, in luce sul lato sinistra della tela, poggia i piedi sopra una grande croce: è ovviamente Sant’Andrea. Evidentemente in qualche tempo, e per qualche motivo, la tela dall’altare dei Petricelli venne qui trasferita. In passato il dipinto veniva attribuito a Francesco Vecellio “8, senza considerare l’anacronismo di un San Carlo canonizzato solo nel 1610, ora è invece, a ragione, ricondotto all’opera di Girolamo Forabosco “9. Girolamo era considerato tra i migliori pittori ritrattisti nella Venezia del XVII secolo, tuttavia non molte sue opere ci sono giunte, tra le quali pochissime datate, rendendo così difficile estrapolare un suo eventuale percorso stilistico.La pala in esame. Rappresenta uno dei temi più cari all’iconografia postconciliare: l’Assunzione di Maria, nello specifico l’episodio della consegna all’incredulo Tommaso della propria cintola. Vestita con uno sgargiante abito rosso, Maria viene di peso sollevata e accompagnata verso la Gloria dei Cieli da un tripudio di paffuti putti alati. Alla base cinque figure, tre in primo piano e due più arretrate, assistono con braccia al cielo e occhi estasiati ed increduli alla miracolosa Assunzione. Partendo dalla destra di Maria troviamo dapprima un santo in abiti vescovili, che potrebbe essere San Nicola oppure Sant’Antonio Abate a seconda se vediamo in quel “qualcosa” indistinto che tiene in mano le tre sfere d’oro o delle fiammelle. Davanti a lui la bella figura di Sant’Andrea con il ginocchio appoggiato al legno della Croce.


“7 ASB 1876

“8 Pellin A., Storia di Feltre, 1944

“9 Claut, 2008

Arretrati altri due Santi, facilmente identificabili : San Giuseppe, col bastone del viandante, allusione al viaggio a Betlemme e alla fuga in Egitto, ed un giovane San Lorenzo, con la graticola del suo martirio. Chiude la sequenza l’alta figura di San Carlo Borromeo, in un atteggiamento chiaramente mutuato dal San Francesco della pala Pesaro a Venezia. Una replica della pala è conservata nei depositi della Gemaldgallerie di Dresda, del 1654 circa. Ma non è escluso che la pala di Fonzaso possa essere l’oroginale: troppe sono le coincidenze che la legano ai Petricelli, in particolare al loro vissuto. A partire dai Santi rappresentati, eponimi dei componenti di quella che fu la grande “fraterna” istituita in comunione di beni tra il padre Lorenzo ed i figli Andrea, Giuseppe ed Antonio.Nel 1659 i Petricelli iniziarono una pesante controversia per le decime vescovili. Novelli San Tommaso increduli sui reali rischi del loro comportamento invano siappellarono invano alle loro conoscenze ecclesiastiche e forse allo stesso Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova in quegli anni e gran estimatore di Carlo Borromeo. Ciò nonostante i Petricelli vennero accusati di frode e di negligenza intollerabile perchè continuano a spedire tavolame non decimato , il Vescovo di Feltre procedette pertanto al sequestro di una grande quantità di legname oltre che ai loro beni mobili contenuti nel palazzo in “piazza nova”. Iniziò così inarrestabile il declino di una delle prime famiglie di mercanti di legname fonzasini.

Altare dell’Annunciazione con Sant’Apollonia, Santa Lucia e sant’Agata

Come l’altare di sant’Andrea anche questo è parecchio antico, comparendo già nelle cronache vescovili di metà cinquecento. Non era legato ad una famiglia di mercanti in particolare, quanto invece ad un notaio che con i mercanti di legname, soprattutto gli Angeli, aveva parecchio a che fare: Simone Zen. Nel testamento del 1653 Simone Zen, cittadino di Feltre, ma che stava di casa a Fonzaso leggiamo come ordinò che “non essendo dorata e perfettata la pala dell’altare della Nunciata e delle Sante Appollonia, Lucia et Agata, debba nel termine di anni due dopo la mia morte il mio figlio ed erede far perfettar e dorar una pala ad honor et gloria della Vergine Maria…” . Questa pala, che ora si trova nel presbiterio, è attribuita al lucchese Pietro Ricchi o Righi (1606-1675). Pittore “ardente, pronto e presto” – secondo la descrizione di Marco Boschini nella Carta del navegar pitoresco, si formò a Firenze, quindi a Bologna, presso Guido Reni, per poi lavorare in Francia (Aix en Provence, Arles, Lione) e quindi a Milano, Brescia e nel trentino. Dal 1650 lavorò a Venezia e morì a Udine o a Padova nel 1675. Celebre in passato, nell’ultimo secolo è stato dimenticato dalla critica, anche se di recente il suo stile raffinato con colori brillanti è stato rivalutato. La pala superiore della pala rappresenta una raffinata Annunciazione dove l’arcangelo Gabriele sorprende la Vergine arrivando su un turbine barocco di nubi. L’ordine gerarchico inferiore, diviso da un elegante fregio e dallo stemma della casata, allinea quattro sante con i simboli del loro martirio. Sant’ Apollonia con la tenaglia ed il dente, Santa Lucia con il vassoio recante i suoi occhi, Sant’Agata con i suoi seni tagliati. L’ultima a destra è una Santa senza attributi specifici se non quello della palma del martirio, ma una didascalia ci corre in aiuto identificandola con Santa Libera

L’altare di san Sebastiano e San Rocco

Ora legato alla devozione a San Giuseppe, dal XVI al XIX secolo era invece intitolato ai due santi taumaturghi, protettori dalla peste. Più precisamnete a San Sebastiano fino alla fine del Cinquecento per poi affiancare l’intitolazione a San Rocco sull’onda della venerazione diffusa dalla Scuola Grande veneziana. Non faceva capo a nessuna famiglia specifica, anche se legati e messe venivano celebrati per le famiglie Salce da Bribano, i Bonmassaro (ricchi mugnai fonzasini) e i Bilesimo .

L’altare della Pietà, “de iure” di GiovanniBattista Angeli”

L’ altare della Pietà occupava la cappella dell’ attuale Battistero. Quest’ultimo, dal Seicento fino agli inizi del secolo scorso, era posto all’interno dell’adiacente Scoletta della Madonna del Manto, detta anche Oratorio di San Filippo Neri in seguito al riconoscimento della Congregazione degli Oratoriani avvenuta nel 1686 dal Vescovo Gregorio Barbarigo “10. Lo spostamento comportò probabilmente l’abbattimento della pietra d’altare e la creazione o l’adattamento, con una cornice di inizio Novecento, di un trittico che assunse l’odierno aspetto.

Dalla visita pastorale “11 condotta dal Vescovo di Padova Marcantonio Corner presso l’arcipretale di Fonzaso, il ventiquattro luglio 1633, l’altare della Pietà risulta di Giovanni Battista Angeli.


“10 Vigna A., 2004

“11 AVP, liber XX, 1633

Gli Angeli, o dell’Agnol, rappresentano forse l’unico esempio di famiglia di mercanti autoctoni che, apprendendo dagli altri operatori veneti giunti a Fonzaso, seppero uscire da una dimensione di mercato “locale” andando ad abbracciare così una prospettiva più “globalizzata”. Bartolomeo e Giovanni Angeli, figli di Angelo, furono i capostipiti dei due rami principali della famiglia dalla fine del ‘400. , Giovanni Battista, del ramo di Bartolomeo, veniva negli atti invece indicato come “mercante di legname” a Fonzaso e, da capo della fraterna familiare, agiva sempre in nome di suo fratello “dottor” Andrea capo del collegio dei notai feltrino.

Cosa rimane dell’altare originale? Ripercorrendo le visite pastorali post conciliari, emerge come l’altare nel 1581 fosse inizialmente intitolato a San Gregorio “de iure” di Maestro Angelo. Nel 1647 l’altare “ di diritto degli eredi di Battista de Angeli ” è detto12 invece di “San Valentino e della Pietà” intitolazione che conserverà per altri due secoli. La pala della cappella di fronte al Battistero, da sempre dedicato alla Santissima Croce, a ben vedere non celebra come dovrebbe il Crocifisso, ma il momento successivo: un lamento o Compianto su Cristo morto, una Pietà. In esso il corpo di Cristo viene disteso sul lenzuolo portato da Giuseppe d’Arimatea circondato dalle tre Marie “sterminatamente piangenti” : la Madonna, Maria Maddalena e Maria di Cleofa o Salome. Alla sinistra di Giovanni d’Arimatea è rappresentato Nicodemo, altro ricco ebreo e Giovanni Evangelista. La stessa visita pastorale del 1633 riporta inoltre un’interessante annotazione sullo stato della pala fondamentale per ricostruirnel’originale configurazione: “L’ancona dell’altare è in gran parte e dall’umidità deturpata e indecente e quindi l’altare è da interdire fino a che non venga riportato a decenza”. La pala del “Compianto su Cristo morto” riporta su una pietra angolare sbozzata, posta sul margine inferiore destro tela, la data “MDCXXX.IIII.” oltre alla sigla “G.Z.P., testimonianza di come l’anno dopo l’interdizione l’ancona fosse già terminata e restituita alla sua legittima dignità.

Il trittico della Pietà sembra pertanto poter essere ricomposto e le intitolazioni ritornano ad assumere un senso. I santi delle due ancone laterali possono così venire agevolmente identificati: alla destra di chi guarda San Valentino martire, mentre alla sinistra, forte degli attributi iconografici del triregno papale, di un grosso volume, forse la “Regula Pastoralis”, posto ai suoi piedi e, soprattutto, della contrapposizione con lo stesso San Valentino, il “buon pastore”, non può essere che Gregorio Magno Dottore della Chiesa. Manca la colomba, ma l’ispirazione divina per i suoi scritti di cui essa è simbolo non è necessaria, in quanto, come il Santo papa ancora ci indica, era originariamente sostituita dal Cristo deposto e dal suo sangue versato per noi tutti.

San Gregorio e San Valentino sono chiaramente opera del pittore Francesco Frigimelica, padovano iscritto alla fraglla dei pittori veneziani, che migrò a Feltre a fine ‘500, dipingendo soprattutto per il Vescovo feltrino, trasferendosi in seguito a Cividal di Belluno nei primi anni del ‘600. Pertanto, fino al 1633, la pala dell’altare era un’unica tela del Frigimelica, ma essendosi in gran parte rovinata si dovette restaurare recuperandone solo i due santi laterali . La sigla G.Z.P. che compare

“12 AVP, liber XXV, 1647; liber XXX, 1666.

quadro del Compianto, che costituiva il comparto centrale del trittico, identifica invece in Girolamo Dal Zocco, detto lo “Zigantello” per una controversia che riguardò suo padre Antonio e dei membri della famiglia Angeli relativamenteall’assegnazione di un banco nella cattedrale di Feltre. I Dal Zocco, giunti nel feltrino da Pordenone (Cordenons) nella seconda metà del XVI secolo, rappresentarono per circa un secolo una vivace bottega di pittori, dalle qualità artistiche non eccelse, ma che ottennero vari incarichi anche di una certa rilevanza. Operarono soprattutto per il Vescovo di Feltre, e, in particolare Girolamo, più che per la sua capacità ideativa, si distinse per la sua abilità nel copiare opere maggiori, come appunto questa dell’altare della Pietà che si rifece ad un disegno di Taddeo Zuccari, replicato dallo stesso Zigantello anche nell’abside della chiesa feltrina di Ognissanti. Girolamo pittore aveva casa a Feltre, a pochi metri dalla dimora feltrina degli Angeli. A lui gli eredi di Giovanni Battista Angeli, Angelo e Bartolomeo, pensarono quando dovettero nel 1633 risistemare la pala, ed il soggetto della Pietà era quanto di più adatto per ricordare la scomparsa di loro padre avvenuta, probabilmente per peste, appena l’anno prima. E forse a loro due vanno pertanto ricondotte le due figure piangenti rappresentate sul lato destro della pala. L’altare del Santissimo Crocifisso dei Maccarini A questo punto l’altare della Croce rimane privo di pala, ed in effetti mai nelle visite pastorali si parla di un’ “ancona dipinta” o di una tela cerata relativa a questo altare. Aveva un altare portatile inserito nella mensa e risultava, dal 1633, mantenuto dagli eredi di Giuseppe Maccarini. Giuseppe, nato a Venezia dal mercante Giacomo Maccarini e Margherita Nordio, rimase orfano ben presto e seguì lo zio Antonio a Fonzaso assieme ai fratelli Francesco e Martino. Nel 1630 morì di peste contratta a Venezia all’età di soli vent’anni. Nel suo testamento per legato volle venissecelebrata “all’altare della Croce suo di casa” una messa quotidiana all’anima sua in perpetuo. Intendendo morire a Fonzaso volle qui essere sepolto e non nel sepolcro che suo nonno Martino aveva predisposto per lui e suo padre nel presbiterio della Basilica di San Giovanni e Paolo a Venezia. I suoi beni volle andassero ai fratelli Martino e Francesco, purchè “non si maritassero con cortigiane o contadine all’epoca considerate le veri untrici dell’epidemia, ”, ma con figlie di mercanti o cittadine”. Quattro mesi dopo morì di peste anche suo fratello Martino e gran parte del loro patrimonio passò, oltre che all’unico fratello rimasto, Francesco, allo zio Antonio. Le messe quotidiane richieste da Giuseppe/Iseppo furono celebrate dal loro prete di fiducia Reverendo Thomas Braus, sacerdote tirolese che viveva nel loro palazzo di Fonzaso. Le messe sull’altare maggiore per lo zio Antonio e sua moglie Florida Petricelli venivano invece celebrate da Don Bortolo Vieceli. Con ogni probabilità sull’altare della croce trovava posto il bel crocifisso ligneo attribuito al Terilli, celebre scultore feltrino (1584-1635) del quale una delle opere più importanti, un momunmento equestre a Pompeo Giustiniani, si trova proprio nella Basilica di San Giovanni e Paolo a Venezia dove sono sepolti gli altri componenti della famiglia Maccarini.

L’altare di Sant’ Antonio Abate

L’intitolazione ad Antonio Abate rimase inalterata per quattro secoli secoli. Non era mantenuto da nessuna famiglia in particolare, ma ad esso lasciavano legati e rendite varia famiglie fonzasine.I suoi attributi iconografici sono il fuoco di Sant’Antonio, il campanello degli appestati ed il maiale o cinghiale e infatti veniva invocato per la guarigione da queste malattie oltre che per la protezione degli animali domestici. A volte sul suo altare fonzasino venivano celebrate messe in onore del Santo Antonio da Padova, anche se Antonio Maccarini rivendicava tale prerogativa all’altare della Croce suo di casa. Purtroppo non si è conservata la pala che pur sembra fosse esistita in passato, sostituita presumibilmente nel secolo scorso dal ricco altare con le statue lignee oggi presente. L’altare del SS.Rosario degli eredi di Iseppo Angeli Iseppo Angeli rappresenta l’altro ramo dell’importante famiglia fonzasina, meno interessata alla politica e alla carriera ecclesiastica rispetto al ramo di Giovanni Battista, e più concentrata nel commercio del legname. A questo ramo apparteneva la grande villa con annesso oratorio in centro al paese ora istituto dei padri Canossiani. Anche lo stemma di famiglia si distingueva dall’altro ramo: non più una semplice faccia d’angelo alata, ma un angelo alato al naturale, tenente con la destra una corona a quattro punte d’oro, con la sinistra una palma di verde, e sopra una corona comitale. Sulla timpano dell’altare ligneo seicentesco, eccezionalmente ancora nella medesima cappella, si ritrova in rilievo il loro angelo-stemma, purtroppo senza la corona e la palma perse nei secoli. La nicchia dove ora si trova la statua di Maria è incorniciata dai 15 “misteri del Rosario” dipinti su rame, dall’Annunciazione, all’Incoronazione di Maria. Il pittore di questi ultimi è con ogni probabilità lo stesso che ne realizzò la pala originaria, ora collocata nel presbiterio: Andrea Vicentino (1542-1617). Collaboratore del Tintoretto a Venezia nella sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, ebbe notevole fama tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento. Quella che vediamo gli fu con ogni probabilità commissionata da Iseppo Angeli, per l’altare dove aveva la sua tomba, tra il primo e il secondo decennio del Seicento. La Visita Pastorale del 1633 condotta dal Vescovo di Padova Marcantonio Corner descrive l’altare ligneo come “inaurato con colonne incise” e “nell’ancona è dipinta la Beata Vergine e San Domenico e la Santa del suo ordine benedetto, a sinistra e a destra varie corone del rosario”. I santi sono rispettivamente san Domenico di Guzmàn, fondatore dell’ordine dei frati predicatori o domenicani, ai quali è dovuta la diffusione della pratica del rosario, e Santa Caterina da Siena, insigne domenicana e maestra dei riformatori dell’ordine dopo la metà del XIV° secolo. Il culto del Rosariosi diffuse nella Repubblica Veneta dopo la vittoria veneziana nella battaglia di Lepanto il 7 ottobre del 1571, giorno di preghiera per i confratelli del Rosario. Per tale ragione spesso nella pittura veneta Maria, Venezia e Santa Giustina tendono nelle rappresentazioni a fondersi in un’unica immagine. Sotto San Domenico e Santa Caterina ritroviamo San Francesco, Santa Lucia, e Sant’Apollonia, santi a cui Iseppo e, più avanti suo figlio Valeriano, erano devoti. Gerarchicamente seguono poi altri santi, quindi un doge, re e regine, papi tutti ad assistere alla consegna dei Santi Rosari.

L’altare dei Vieceli

Da sempre mantenuto dalla famiglia Vieceli, l’altare, oggi del Carmine, fu da tempo immemore, fino al 1699 intitolato ai Santi Vittore e Corona. Già dalle cronache cinquecentesche si sa che era dotato di una pala dipinta con l’immagine dei santi Vittore e Corona, purtroppo perduta. Quella che oggi vediamo è di un autore ignoto del XVIII secolo e rappresenta San Michele Arcangelo, capo delle schiere celesti, che schiaccia e sconfigge il demonio.

Il bel paliotto in marmo dell’altare rappresenta la fuga in Egitto, è una realizzazione di estrema qualità e fu eseguita forse ancora nel seicento, probabilmente da un certo maestro Batta De Bianchi, tagliapietra comasco, che fu pagato nel 1634 da Donà Vieceli, per sè e per i fratelli, per conto di un lavoro di “taglio, incisione e restituzione…”.

Di grande importanza e qualità sono le due sculture poste ai lati dell’altare, ricoperte di biacca, probabilmente per non essere saccheggiate durante le guerre mondiali,sembrano statue di gesso grigio. In realtà sono sculture lignee policrome dorare, attribuite a Francesco Terilli, rilevante scultore feltrino attivo nei primi decenni del Seicento. Rappresentano Vittore e Corona e pertanto ancora legate all’antica devozione dei Vieceli per i due santi patroni feltrini

Matteo Vieceli

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