I VIECELI DI MEANO


Appunti sui Vieceli da Mean, sulla loro villa e oratorio annesso.

Non avendo compiuto ricerche archivistiche a riguardo, vedrò di “assemblare” informazioni raccolte sia dai libri di storia locale che da date e riferimenti relativi all’oratorio di san Bartolomeo e alla “villa Vieceli” di Meano (Mean) raro esempio di contesto abitativo occupato dalla stessa famiglia per più di 500 anni (come affermò la stessa sovrintendente Giuliana Ericani in occasione del restauro della pala del Marescalchi nel 1993 ). Cercherò quindi di trarne una cronistoria della famiglia fino ai primi anni del ‘700.

Breve cronistoria dei Vieceli da Mean


La data più antica che abbiamo è il 1484, questa data è incisa in numeri arabi su una piccola acquasantiera nell’oratorio di San Bartolomeo.Dobbiamo infatti ricordare come l’attuale oratorio sia in realtà una ricostruzione seicentesca dell’antica chiesetta quattrocentesca un tempo sita all’interno della corte della villa, ricostruzione avvenuta presumibilmente nel 1664.


A lato Acquasantiera del 1484

acquasantiera_del_1484


Altri elementi della chiesa quattrocentesca riutilizzati per l’edificazione della nuova sono, oltre all’acquasantiera, la parte superiore della pala, opera di Pietro Marescalchi, in origine con cornice centinata (figura 3), gli stipiti e l’architrave principale della chiesa demolita, qui rimontato a rovescio con la vecchia architrave facente ora funzione di soglia (la vecchia apertura era rettangolare con l’acronimo IHS, mentre l’attuale ad arco), riconoscibile anche per i segni lasciati dalle funi di tiraggio della campana. Forse anche le uniche due panche rimaste potrebbero essere appartenute all’oratorio originario dato che riportano stampato una specie di stemma o logo: una croce che porta alle estremità tre lettere GBV (Giovanni Battista Vieceli?).
Quindi sicuramente già nel ‘400 i Vieceli disponevano di villa con corte e oratorio privato interno, come testimoniato dalle visite pastorali. Non disponendo di un titolo nobiliare, con ogni probabilità dovremmo trovarci di fronte a dei mercanti, probabilmente di legname, che partecipavano coi loro commerci al benessere della Serenissima.


A lato Oratorio di San Bartolomeo dopo la ricostruzione nel 1664

oratorio_di_san_bartolomeo_del_1664


A testimonianza di ciò la già citata pala commissionata da Giambattista Vieceli al famoso pittore feltrino Pietro de Marescalchi che la firmò e datò MDLXX (1570. Il GianBattista è qui vestito di un grande mantello ornato da code d’ermellino, inginocchiato davanti ai santi Bartolomeo, San Giovanni e la madonna in trono con bambino L’identificazione del committente deriva dal testamento di Giambattista Viecel, ricordato come esistente negli atti del notaio Gasparo Cappellaio di Cividale di Belluno, e non più conservato, che in data 27 maggio 1577 obbligava gli eredi alla cura perpetua della chiesa ed ad illuminarla per sette mesi l’anno “in perpetuo illuminar la chiesa di San Bartolomeo di Mean e quella tenir in ordine e ben governata”. Nella visita pastorale del 1585 il vescovo Jacopo Rovellio manifestò sincero apprezzamento per questo quadro e nel contempo invitava i Vieceli, nello specifico Giacomo, alla ristrutturazione della chiesetta “dummodo fiat in maiorem formam”, ma le volontà del Giambattista con gli anni non furono eseguite, nel 1595 infatti Lorenzo De Benedictis, cittadino di Meano, lamentava l’abbandono ad oratorio della chiesa e la sottrazione al suo patrimonio dei “paramenta”…ad usum celebrationis, che Bartolomeo, figlio di Giambattista tratteneva “in alio loco” e che dovevano essere portati nella chiesa parrocchiale di San felice. “La chiesa di San Bartolomeo è caduta, né si può trovar via di rifarla che le contese che sopra il modo di fabbricarla et continuamente nascono” (Rovellio 1595).


A lato Sacra conversazione del Marescalchi

sacra_conversazione_del_marescalchi


Proseguono intanto le visite pastorali e nel 1632 il vescovo Savio definì la chiesa “ruinosa” e intimava i Vieceli di ricostruirla “vicino alla strada” per seguire le nuove direttive ecclesiastiche volte a estendere i luoghi di culto sul territorio e rendere quindi pubblici gli oratori privati. Nonostante che in quegli anni i Vieceli avessero portato avanti importanti ristrutturazioni della villa (come testimonia la targa 1636 posta tra le prime 2 finestre da destra) nel 1638 sempre il vescovo Savio definì questa volta la chiesetta“caduta” . Bisognerà attendere il 1664 per la tanto sospirata ricostruzione dell’oratorio, quasi in contemporanea con la ricostruzione della chiesa parrocchiale di San Felice.


A lato Villa Vieceli (archivio Migliorini)

villa_vieceli_archivio_migliorini


Negli anni infatti, tra il 1660 e il 1670 i Vieceli acquistarono con Prudenzio e Carlo Giamosa, nobili di Belluno, delle segherie in località Gron. I commerci dovevano andare bene, tanto che, oltre alla ricostruzione della chiesa, nel 1670 venne ristrutturato in pietra il portale d’accesso al cortile della villa e nel 1672 fu commissionata a Domenico Falce, pittore bellunese, la parte inferiore di quella che diverrà la nuova pala d’altare della chiesa, aggiungendo a san Bartolomeo e san Giovanni Battista altri 4 santi, tutti con lo sguardo rivolto al cielo: San Valentino, san Francesco, San Antonio e san Domenico, oltre che ad aver “santificato” il probabile committente aggiungendogli la scritta “S. Gothardus”. Nel 1686 il pievano Argenta infatti annota “ parte di queste immagini sono pittura antica, parte moderna, perché vien detto che d.ta chiesa sij trasportata nel loco ove adesso s’attrova da consorti Vieceri da quali è anco mantenuta”.


A lato Pianta della villa e della chiesetta ricostruita

villa_vieceli_pianta


Seguirono poi anni più difficili, di carestia (1700), inverni rigidi (nel 1709 gelò il Piave), alluvioni (1748 una fiumana sommerse l’abitato di Salzan), di siccità e fame (1782). I lavori e le edificazioni che possiamo riscontrare nel borgo di Mean in questo secolo sono, seppur evocanti un gusto “moderno” e velleitario, ormai privi di quella qualità e abilità esecutiva riscontrabili nei due secoli precedenti, cambia la qualità delle malte, degli intonaci, del legno utilizzato, tecniche e realizzazioni costruttive improntate più alla facciata che alla sostanza. Nel 1796 arrivarono le truppe austriache, cade Venezia e con essa si conclude un’età d’oro che comunque era volta già al declino per tutto il ‘700.


A lato Il quadro di Domenico Falce aggiunto alla pala del Marescalchi

quadro_di_domenico_falce_aggiunto_alla_pala_del_marescalchi

I Vieceli commercianti di legname?

L’ipotesi che i Vieceli fossero allora protagonisti nel commercio del legname con Venezia può essere avvalorata da varie deduzioni ed eventi tra i queli, oltre alle già citate segherie in località Gron, un “perfezionamento del contratto dotale” del 25/04/1598 dove leggiamo che un certo Antonio Maccarini, in quel di Barbaria delle Tole a Venezia, aveva sposato una Domenica Viecel di Mean. I Maccarini erano infatti una famiglia trentina della Val di Ledro che nel ‘500 si era insediata in campo di S.Giustina a Barbaria delle Tole a Venezia per commerciare il legname proveniente dalle loro terre. La necessità della globalizzazione economica, già sentita al tempo, li portò infatti ad intessere legami di amicizia e matrimoniali in quelle zone “intermedie” come potevano essere Mel, Meano e Fonzaso. I Maccarini infatti non a caso tessero legami parentali anche con i Dall’Agnol (Angeli) a Fonzaso tanto che già prima del’600 avevano qua casa (colpita dall’incendio di Fonzaso nel 1609) e prima del 1620 anche a Mel. Inoltre dobbiamo considerare sia il particolare periodo storico (una repubblica di Venezia in continua ascesa che richiedeva sempre più larici e roveri per le sue flotte ed i suoi palazzi), sia la particolare ubicazione (Meano, Mel e Fonzaso sono in posizioni strategiche per il controllo del legname che fluitava dal Primiero e dall’Agordino), sia ricercati elementi lignei presenti nella villa stessa (cornicione di un camino e architrave di una porta interna cinque/secenteschi sopravvissuti) ed in un edificio attiguo dove si è rinvenuta una stanza stube con cassettoni e cornicioni del primo seicento. Altro aspetto avvalorante il legame dei Vieceli con il commercio del legname è il considerare come i cognomi Vieceli, Viezer, Viecelli e similari, sia ancor oggi diffuso soprattutto in 3 aree allora tra le più strategiche per il commercio del legname con Venezia (Fonzaso, Meano/Bribano, Pieve di Cadore). Interessanti studi sulle famiglie coinvolte nel commercio del legname sono stati condotti dallo storico Gigi Corazzol, in parte descritti nel suo libro “cineografo di banditi su sfondo di monti” dove appunto evidenzia come gli interessi economici portavano a concentrare in poche famiglie il controllo dei semilavorati attraverso legami di amicizia e parentela.

Matteo Vieceli

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